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Storia della Gastronomia - La Cervisia

01/03/2011
Cervisia è il principale nome - non latino - che i Romani davano alla birra; una bevanda antichissima, probabilmente, insieme con l’idromele o cronologicamente subito dopo l’idromele, la prima bevanda fermentata dell’umanità: in Mesopotamia, dov’era la bevanda nazionale, così come poi in Egitto, la si preparava partendo dal pane; i Sumeri, presso i quali era la bevanda sacra per eccellenza, la chiamavano « pane liquido ». Collegata alla dea Nin Bi (o Ninkasi), la birra era prescritta anche per lavacri fra il medico ed il cosmetico. Il primo disciplinare di purezza della birra, predecessore di quello tedesco del 1516 che ha suscitato grossi problemi fra la Germania e la Comunità Europea, è contenuto addirittura nel Codice di Hammurabi, databile circa al 1800/1750 avanti Cristo.
Tanto in Mesopotamia quanto in Egitto si inumidiva l’orzo fino a farlo germogliare; a quel punto lo si essiccava al sole o ricorrendo ad altre fonti di calore (la cosiddetta maltizzazione) e lo si macinava. Con la farina di malto si confezionavano poi pani che venivano solo parzialmente cotti e che si mettevano a macerare in tinozze colme d’acqua pura. La fermentazione dei pani di malto dava quindi la birra (che doveva poi essere travasata e filtrata più volte e che ciò nonostante veniva bevuta con cannucce dotate di un rudimentale filtro per trattenere i residui solidi: per questo su sigilli, stele mosaici sumeri ed assiri vengono effigiati personaggi che bevono con lunghe cannucce; una usanza che più tardi Archiloco dirà caratteristica dei Traci e dei Frigi, mentre Senofonte - che la attribuirà agli Armeni - spiegherà che essa serviva per bere la birra, probabilmente per evitare di ingerire distrattamente chicchi d’orzo e frammenti solidi rimasti nella bevanda.
Una bevanda simile alla birra arcaica è ancor oggi in uso in Russia: il kvas, prodotto per fermentazione di pane (di segale, da cui il colore scuro) ammollato in acqua. La produzione di birra in Medio Oriente risale all’incirca al VII° millennio avanti Cristo.
Se la birra è la dominatrice della Mesopotamia e dell’Egitto, il vino d’uva trionfa a Creta, in Palestina e soprattutto in Grecia, dove sostituisce ogni altro tipo di succo di frutta fermentato e diventa “la” bevanda per eccellenza. Per gli Elleni, anche per i più avvezzi alla diversità dei costumi ed al relativismo culturale (magari fino ad essere accusati d’essere «filobarbari», come accadde ad Erodoto), era ancora fonte di scandalo e di incomprensione che in altri luoghi potessero essere bevute bevande come il “vino di palma” o la birra, il cui nome, zythos, peraltro poco usato (si preferisce la circonlocuzione spregiativa oìnos tès krizès, vino d’orzo; il nome cretese della birra, brutòn, che si ritrovava in alcuni dialetti greci arcaici, è stato del tutto obliato), è trasposizione dell’egizio zythum, che continuerà ad essere uno dei nomi della birra presso i Romani (come è attestato ancora nell’Editto di Diocleziano sui prezzi: costerà due denari al sestario, contro i quattro di cervisia e camum, una birra d’orzo, questa, proveniente dalla Pannonia e dall’Illiria).
Pare che zythum designasse in Egitto la birra chiara, mentre curmi, un nome che troveremo anche a Roma, fosse il nome della birra scura. Curmi, o corma, è comunque in Gallia il nome di una birra di grano, che i più agiati bevono addizionandola di miele, come riporta Plinio.
Eschilo, nelle Supplici, fa dire agli ospiti che giungono in Argo: «in questa terra troverete dei veri uomini, e non rammolliti che bevono vino fatto con l’orzo».
Anche in Roma la birra (cervisia il suo nome più diffuso, preso dalle popolazioni dell’area alpina), divenuta nel frattempo la bevanda dei barbari del Nord, dove non attecchisce la vite, è disprezzata. L’imperatore Giuliano, verso la fine della romanità, in un suo epigramma stronca la bevanda dei Celti, fatta di spighe in mancanza di grappoli, affermando che il vino sa di nettare, la birra puzza di capro. L’unica area della penisola italiana dove si bevesse regolarmente birra era la Liguria; nella Gallia cisalpina si beveva per contro vino. Altra area di grande diffusione della birra, nei confini dell’Impero Romano, era quella che andava dall’Illirico (Dalmazia) alla Pannonia (Ungheria). Fuori dell’Impero, la birra era la bevanda dei Celti: Galli del Nord o Germani che fossero. Tacito, parlando dei Germani, afferma che «la loro bevanda è un liquido ricavato dall’orzo e dal frumento, fermentati in modo da sembrare vino». Plinio ci informa del nome che i Celti davano al grano maltato con cui producevano la birra: braie. Da qui verrà il nome odierno della birra.
Quando Annibale arrivò in Italia, fra le sue provviste c’era birra prodotta a Cartagine o nelle colonie cartaginesi ispaniche, da cui proveniva.
A Roma la birra non incontrò mai favore, era semmai bevanda della plebe più derelitta, degli schiavi di infimo rango, dei gladiatori: la fabbricavano le donne dei prigionieri catturati in Asia, Africa, Gallia e Britannia.
Cesare parla della birra nel De bello gallico: ne bevve la prima volta quando gli fu offerta dagli Edui, alleati dei Romani contro Ariovisto, ma rimase ovviamente fedele al vino. A Nerone, invece, la birra piaceva quasi quanto il vino; e in particolare gli piaceva la qualità prodotta in Lusitania (odierno Portogallo), chiamata celea. Agricola, il governatore della Britannia, rientrato a Roma produceva da sé, nella sua villa extraurbana, la sua birra, come facevano nel remoto Nord lui e i suoi soldati.
A Roma la birra, che come dicevamo non riscuoteva molto successo come bevanda, era considerata dai medici molto sana e consigliata tanto come bevanda nelle diete quanto come per lavaggi cosmetici (ancor oggi sappiamo che fa bene alla pelle ed ai capelli, come ben sapevano le matrone romane). Antonio Musa, medico personale dell’imperatore Augusto, si vantava di aver guarito il suo illustre paziente dal mal di fegato proprio con la birra. E se Musa era considerato «eretico» rispetto alle scuole mediche dominanti, anche i più ortodossi Celso ed Asclepiade di Prusa la considerano come corroborante dopo ogni cura idroterapica.

(16. continua)