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Meraviglie della Nouvelle Cuisine

01/07/2005
piccolo excursus intorno alla «Cucina Nuova» e ai suoi abbinamenti...

Per l’enogastronomia pugliese, il terzo millennio offre prospettive ancor più ampie ed interessanti, sulla base di quanto si era andato profilando nella seconda metà del 1900.
Da una parte la scossa data a livello mondiale dal fenomeno poi magnificamente assimilato della nouvelle cuisine, dall’altra l’interesse suscitato dalla non meno significativa diffusione della dieta mediterranea (peraltro “inventata” da uno statunitense sulla base di analisi medico – scientifiche). Il modo di mangiare dei meridionali in genere e dei pugliesi in particolare, era finalmente salito agli onori delle cronache di settore, anche sul piano internazionale.
La ricerca di un’aurea semplicità nella confezione dei piatti, con una decisa rivalutazione dei sapori originali, favorita da tempi di cottura più studiati, dall’impiego di materie prime fresche e, soprattutto, stagionali, a ben guardare era tutt’altro che contraria alle antiche e radicate tradizioni gastronomiche pugliesi, che affondavano le loro origini in una inventiva genuina ed al tempo stesso geniale, volta alla utilizzazione dei pochi elementi disponibili, impiegati al meglio.
Cucina povera, si è sempre detto – in linea generale – parlando della cucina pugliese, ma al tempo stesso gustosa, sana (si pensi all’uso dell’olio d’oliva, vero “oro” di Puglia) e tutto sommato di non complessa confezione.
Una realtà di indiscussa portata, che è assurta agli occhi delle cronache e non ha affatto tradito le aspettative di quanti onorano la tavola, riconoscendo nel cibo un valore non di mere nutrizione, ma anche di espressione di una cultura antica, radicata e valida.
Mangiare “pugliese” ha significato per buongustai non locali, anche accostarsi al “bere pugliese”, poiché insieme ai piatti tradizionali per molti l’approfondimento in loco, e non solo, dell’enogastronomia nostrana ha significato conoscere anche i vini della nostra regione.
Finiti i tempi in cui la Puglia produceva vini atti a rinsanguare i più deboli confratelli prodotti in altre regioni ed anche all’estero, i produttori, tanti e validi, hanno da più di mezzo secolo iniziato a raffinare i prodotti, ad imbottigliarli, avviando un processo commerciale e allo stesso tempo culturale, vivace e fecondo di prospettive sempre più interessanti.
Beninteso non è che i produttori pugliesi abbiano definitivamente rinunciato ad aiutare i confratelli di altre regioni straniere, solo che sono entrati e con risultati quasi sempre brillantissimo, in competizione con loro in un settore prima pressoché ignorato.
Tutto bene dunque, ma occorre anche chiarire alcune situazioni.
Storicamente il Pugliese non è mai stato un “vero” bevitore di vini. Giustamente Piero Accolti in un suo volume dedicato ai vini italiani, rileva che la vera aspirazione dei pugliesi – almeno fino alla realizzazione dell’ Acquedotto (oggi insufficiente a colmare la loro sete e non solo) – era l’acqua.
Ciò non significa che i pugliesi non bevessero vino: lo facevano con moderazione, anche se tutti i piccoli o grandi centri di produzione rammentano nelle storie e storielle locali, personaggi coloriti che vivevano in stato pressoché continuo di ebbrezza enoica.
Ed il vino pugliese anche quando invece che in bottiglia finiva in bottiglioni, damigiane e botticelle, accompagnava comunque il pasto quotidiano dei consumatori più abbienti, quello di maggior rilievo, della “festa”, di quelli che lo erano meno.
A questo punto va anche aggiunto che gli “abbinamenti”, tanto accuratamente studiati oggi dai brillanti e preparati sommeliers tra piatti e vini pugliesi è tutta una costruzione recente.
Molti abitanti delle zone costiere che dividevano la loro attività tra la pesca e l’agricoltura e magari vinificavano in proprio il prodotto delle loro vigne, non si ponevano certo il problema di abbinare al pesce un “bianco”, se il loro vino era invece rosso.
E per concludere questa premessa, oggi più che mai sarebbe assurdo, una volta che i nostri vini si sono ampiamente fatti conoscere si continuasse a limitarne l’uso con accostamento solo a piatti nostrani. Anche se, e l’amara constatazione è necessaria, spesso stampa specializzata, titolari di rubriche sui settimanali e conduttori di trasmissioni televisive, poco spazio dedicano ai vini pugliesi: che sia per timore, o invidia, o per altre e meno umane ragioni?
I nostri vini possono andare benissimo in abbinamento a piatti affatto pugliesi e che richiedono un certo tipo di vino.
Il discorso acquista una portata particolare, proprio se si fa riferimento a quello che, lo ripeto una volta di più, è un fiore all’occhiello dell’enologia nostrana e cioè, il Primitivo.
Uno dei “difetti”, se vogliamo definirlo così, che molti sedicenti intenditori, imputano ai vini pugliesi è la loro alta gradazione. In un’epoca in cui spesso emergono scandali un po’ ovunque per imprese – non pugliesi, peraltro – che praticano lo zuccheraggio per rinforzare vini deboli o peggio ancora “creati” in laboratorio, un vino “vero” e forte di sua natura qual è appunto il Primitivo vede nella sua forza (leggasi gradazione) uno dei pregi più consistenti.
In aggiunta a ciò va rilevato  che un amante della buona tavola sa, se è tale per davvero, accompagnare più di una pietanza con il vino adatto e le pietanze che richiedono, anche al di fuori della tradizione gastronomica pugliese, un tale tipo di vino sono tante.
Voler perciò limitare alla gastronomia pugliese gli abbinamenti con il Primitivo sarebbe, oggi più che mai, un errore di non poco conto.
Una ventina di anni fa auspice un grande cuoco francese, Paul Bocuse, il mondo della gastronomia subì una profonda, ed in un certo senso salutare scossa. Si iniziò a parlare di nouvelle cuisine, di cucina nuova cioè.
Ma anche in cucina “nulla è nuovo sotto il sole”, ed infatti la nouvelle cuisine predicava, accanto a tempi di cottura più brevi ed accurati, un sostanziale ritorno all’uso innanzitutto di prodotti freschissimi, ma anche ad una confezione di piatti che nell’ambito di una riconquista di “semplicità” esaltassero i sapori originali delle pietanze – primi, secondi, insalate o dolci che fossero – non più sommersi dall’aggiunta di salse, sughi o quant’altro potesse cancellare o nel migliore dei casi nascondere profumi e sapori dei componenti impiegati.
La cosa ebbe un’eco in tutto il mondo e si moltiplicarono – come era prevedibile -  anche testi di autorevoli cuochi e gastronomi che svilupparono doviziosamente l’argomento.
Anche in Italia la nouvelle cuisine ebbe i suoi adepti e non mancarono anche da noi interessanti volumi sull’argomento.
Uno in particolare, ideato da Arnold Zaubert con la consulenza di Albert Bouley, chef del ristorante Waldhom di Ravenesburg, fu edito in Italia dalla Rizzoli con il titolo “La nouvelle cuisine per tutti” e nell’introduzione ci sono in proposito affermazioni ed indicazioni a dir poco illuminanti.
“La Cucina Nuova – è detto -  non c’è niente di più leggero, veloce, sano e gustoso”.
Tuttavia quel che risalta subito agli occhi del lettore è un paragrafo intitolato “ E’ di nuovo importante la scelta del vino”!
“Un altro elemento introdotto dalla Cucina Nuova – si dice – è la riscoperta dei numerosi tipi di vino. La competenza piuttosto che la disponibilità economica vi aiuteranno nella scelta di un vino:
anche con vini a prezzi contenuti si può infatti allestire un pranzo che soddisfi i buongustai, in quanto è essenziale che il vino si accordi perfettamente con il sapore del cibo. I vini più adatti alla Cucina Nuova sono quelli secchi, asciutti, mentre i vini dolci si possono eventualmente accompagnare ai dessert”
L’attento lettore può intravedere tra le righe un indiretto, ma esplicito riferimento al nostro Primitivo (di Manduria beninteso), nelle sue varie tipizzazioni. Innanzitutto quello definito appunto soltanto con il suo nome “Vino Primitivo di Manduria Doc”, secco, corposo, colorito ed intensamente profumato.
E crediamo in buona fede che lo si possa abbinare tranquillamente a pietanze – tutte rigorosamente di Nouvelle Cuisine – quali per mantenerci nell’ambito dei “primi” con le tagliatelle con paté di olive, o per passare  ai secondi il carpaccio di filetto di manzo, o le animelle di vitello con piselli, col fegato di vitello in salsa di ribes, col ragù di rognoncini di vitello, con i medaglioni di vitello o con il filetto di maiale al vapore, o ancora con le costine di maiale con carote e verza, con il filetto di manzo marinato, con le costolette di agnello, con la sella di agnello e spinaci in crosta, o con la sella di vitello al pepe verde con salsa di mirtilli rossi.
E l’elenco continua, il Primitivo può andare col Petto d’anatra arrosto con peperoni rossi e patate duchesse, con l’anatra pot au feu. E questo anche se qualche piatto – di quelli succitati – si sposava molto bene nelle intenzioni degli ideatori anche con vini bianchi.
Ma per quelle pietanze che prevedevano l’abbinamento con i rossi il Primitivo può senza esitazione soppiantare nell’abbinamento i vari Pinot neri, Baroli, Barbareschi o Chianti, senza che il buongustaio ne soffra. E questo grazie alla sua schiettezza, al suo vigore e alla sua naturale e   pregevole intensità.
Se poi si affronta l’argomento formaggi – e ci riferiamo in particolare a quelli pregiatissimi francesi – dal Roquefort al Brie, al Camembert salta subito chiara l’idea come i loro particolari sapori non possono che venire esaltati dall’accostamento con un bicchiere del nostro Primitivo. E qualcuno – non manca mai – che abbina i formaggi con vini meno asciutti, può sicuramente trovare sensazioni interessanti se ai formaggi – ma non solo quelli citati – accosta un vino di tipo più abbocato come il Primitivo di Manduria Doc dolce naturale (che va benissimo, come si è detto con i dessert) o il tipo liquoroso secco.
Una considerazione finale e che riguarda il Primitivo liquoroso dolce naturale. E’ un vino che va bevuto di per sé, di quelli che vengono definiti “da meditazione”. Ebbene molte persone ancor oggi incorrono in un errore che può sconfinare nella scortesia ed è quello di proporre a fine pranzo un bicchiere di amaro o di digestivo. Perché si è parlato di scortesia? E’ evidente se si opta per un digestivo si fa capire implicitamente che il pranzo è stato, come suol dirsi, “pesante”, poco digeribile e la valutazione va a scapito dell’impegno o della padrona di casa o dello chef.
Si provi invece a centellinare un bicchiere di liquoroso dolce naturale e l’effetto auspicato sarà lo stesso, ma nel contempo la soddisfazione delle papille gustative, tra l’altro non aggredite dall’amaro o dalla sfacciata forza dell’alcool, sarà infinitamente maggiore.
Provare per credere.