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Melius abundare quam deficere?

01/11/2010
«Meglio abbondare che scarseggiare», questo dev’essere stato il pensiero che ha ispirato le varie commissioni nel compilare i disciplinari che governano la produzione dei vini che caratterizzano il territorio di Manduria1?
A contraddistinguere e qualificare la nostra identità enoica, oltre all’ormai affermata DOC Primitivo di Manduria, concorrono anche i vini IGT. Questo acronimo sta per Indicazione Geografica Tipica, ma ho la sensazione che in questo caso la tipicità sia un po’ sfuggita di mano, perché non é possibile identificarla in ben oltre 10.000 (avete letto bene, diecimila) etichette differenti di vini peculiari che si possono produrre nella nostra terra.
Nell’areale di Manduria coesistono tre diverse aree geografiche che contraddistinguono i tre diversi vini IGT: Tarantino, Salento e Puglia.
Per ogni area è possibile coltivare, tra uve a bacca bianca e rossa, all’incirca cinquanta varietà.
Da quelle a bacca bianca si possono produrre vini nelle seguenti tipologie: bianco, frizzante, spumante, uve stramature e passito.
Non molto differenti sono le tipologie di vino che derivano dalle uve a bacca rossa, dalle quali si può ottenere anche il rosato che, a sua volta, si distingue in altri tre tipi.
Ogni etichetta è caratterizzata, oltre che dalla categoria dell’IGT, anche dalle tipologie del vino associate al nome del vitigno. Se a produrre un vino concorrono due vitigni autorizzati nell’area di competenza (di cui uno in percentuale superiore al 15%), possono essere entrambi riportati in etichetta.
Ora, sommando e moltiplicando tutte le possibili combinazioni, si supera agevolmente il numero di 10.000 etichette diverse che indicano la tipicità del nostro territorio.
Ma questa tipicità potrà essere rappresentata, in etichetta, da un teutonico “Bianco, passito Riesling renano, IGT del Salento”; da un trentino “Bianco, Traminer aromatico, IGT del Tarantino” o dal connubio tra Aquitania e Friuli; da un “Rosso, novello, Petit verdot-Refosco dal peduncolo rosso, IGT di Puglia”?
I rosati, tipici del vitigno Negroamaro che contraddistinguevano il Salento enoico, ora sono massificati e chissà se un giorno qualche cantina, in vena di ardite sperimentazioni, non lanci un “Rosato, Lambrusco maestri, IGT Salento”.
Anche la difficile arte del passito viene violentata e prostituita; è data in pasto a numerosi vitigni con produzioni che superano agevolmente i 220 quintali per ettaro.
Sono convinto che molte di questa miriade di etichette ancora non siano in produzione e non so se mai verranno prodotte.
Per assurdo, se una accorsata trattoria volesse rappresentare a pieno la tipicità del nostro territorio, mostrerebbe ai suoi clienti un menù di piatti tipici costituito da poche pagine, mentre per la carta dei vini ci vorrebbe un volume degno di un vocabolario. L’ombra di qualche interesse ‘parcellizzato’ aleggia.

Ma siamo sicuri che sia sempre …
Melius abundare quam deficere?

1 Cfr. DECRETO 3 novembre 2010 in GU n. 264 del 11/11/2010