
In una satira variopinta e licenziosa al vino spetta un grande onore...
Valerio Marziale, vissuto tra il 40 ed il 103 d.C. , è da considerarsi senz’altro uno dei più illustri epigrammisti latini ed il più importante della prima età imperiale.
Nativo di Bilbilis, nella Spagna Tarragonese, dove ricevette una valida formazione retorica, venne presto a Roma in cerca di fortuna, seguendo le orme dei suoi connazionali che nella caput mundi si erano affermati grazie alle loro doti di ingegno e di cultura: Seneca, Lucano e Quintiliano. Sia detto infatti en passant che la letteratura latina del I secolo d.C. è caratterizzata dalla presenza significativa di autori di provenienza spagnola.
A Roma Valerio Marziale, invece di esercitare la professione forense, visse una vita da cliens, ottenendo cioè in cambio di servigi resi a personaggi di rango aristocratico, favori, appoggi e la famosa sportula, cioè il paniere per il sostentamento quotidiano. E non si pensi che a richiederla fossero soltanto gli ignoranti e gli sprovveduti; anzi, spesso si trattava di veri e propri intellettuali : avvocati senza cause, insegnanti senza alunni, artisti senza commissioni.
La vita da cliens, naturalmente, gli procurò non pochi fastidi e tristezze e lo costrinse a cambiare spesso padrone. Nello stesso tempo però gli consentì di avere un posto privilegiato dal quale osservare lo scorrere della vita con i suoi vizi e le sue virtù, i tradimenti e le fedeltà, le inimicizie e le alleanze… Nel 80 d.C. in occasione della inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio, più noto con il nome di Colosseo, compose il primo libro di epigrammi, cioè il Liber de spectaculis (cioè gli spettacoli del Colosseo) che gli procurò fama e successo, al punto che l’imperatore Tito gli concesse lo ius trium liberorum (“il diritto dei tre figli”), vale a dire la concessione di benefici riservati a coloro che avevano tre figli, anche se pare che Valerio non fosse nemmeno sposato. Potenza degli imperatori! Il successore di Tito, Domiziano, gli rinnovò tale diritto.
Verso l’84/85 compose due libri di epigrammi, gli Xenia (“doni per gli ospiti”) e gli Apophoreta (“doni da portar via” alla fine dei banchetti) che consolidarono la fama di Marziale. Dopo l’assassinio di Domiziano nel 96 d.C., con cui si chiudeva il ciclo degli imperatori flavii, e l’avvento di Nerva e Traiano, la situazione politico-culturale cambiò non poco a Roma, per cui si instaurò un clima di austerità morale. Marziale tentò di accattivarsi le simpatie dei nuovi imperatori, ma i suoi epigrammi (come si vedrà subito dopo) mal si conciliavano con il nuovo orientamento del potere, per cui nel 98 fece ritorno nella sua patria, Bilbilis.
Qui compose gli altri otto libri degli epigrammi che compongono la sua produzione. A Bilbilis una ricca vedova di nome Marcella, presa da ammirazione per la fama e la poesia di Marziale, gli addolcì gli ultimi anni della vita, facendogli dono di una casa e di un podere e consentendogli di vivere una vita serena e senza affanni. Morì a 63 anni lasciando ai posteri una produzione epigrammatica di sicuro valore e di altrettanto fervida licenziosità.
L’epigramma, come si sa, è di per sé un genere realistico, che mira a rappresentare la realtà nelle sue mille sfaccettature, ha la caratteristica di essere breve ed incisivo, capace di trasmetterci con immediatezza il punto di vista dell’autore sulla vita sociale e politica, sui costumi e le mode, sui personaggi più in vista e di tutti i giorni, sulla condotta delle donne, sugli usi ed abusi sessuali…
Valerio Marziale è in questo un maestro, un abilissimo scrittore e un osservatore attento e appassionato, avendo infatti l’abilità di concentrare in pochi versi la sua ‘visione della vita’, di tracciare un ritratto, di rappresentare scene di vita quotidiana, insomma di smascherare una società spesso conformista e solo in apparenza rispettosa di regole e di principi. Allora i suoi bersagli preferiti sono i falsi moralisti, che predicano bene e razzolano male, gli affaristi impenitenti, i maestri parrucconi, i giudici corrotti, i politici arrampicatori, gli amici del buon tempo ed avari, le donne lascive e insaziabili…
Marziale non si nasconde mai nei suoi epigrammi, anzi al contrario è sempre presente in prima persona, scoprendo la sua personalità ed assumendosi la responsabilità delle sue dichiarazioni.
L’aspetto prevalente è perciò di carattere comico-satirico, che trova la sua esaltazione nella battuta finale che chiude il componimento, quello che gli esperti della materia chiamano fulmen in clausula, vale a dire la stoccata finale. Tale tecnica è lo strumento privilegiato della sua poesia : il senso stesso e lo spirito del componimento vanno ricercati proprio nel finale dell’epigramma che, come dice Mario Citroni, uno dei più acuti interpreti di Marziale, “a volte riassume i termini di una situazione in una formulazione estremamente incisiva e pregnante, a volte li porta ad una comica ipèrbole, altre volte li costringe ad un esito assurdo e ad un paradosso, altre volte li porta all’improvviso sotto una luce diversa e rivelatrice”.
Non si pensi però che Valerio Marziale sia soltanto uno scrittore comico, satirico, propenso alla licenziosità e all’erotismo. Egli è capace anche di esprimere sentimenti di malinconia e sconforto per la sua vita da cliens o di delicatezza estrema per la scomparsa ad es. di una bambina, Erotion, morta alla tenera età di sei anni: …Ricopra una zolla non dura le sue tenere ossa: tu, terra, non essere pesante su di lei: essa su di te pesò sì poco.
Fra i temi più sviluppati ci sono le donne (più che l’amore), l’amicizia, il simposio.
Nei confronti delle donne, è stato osservato, c’è una sorta di vera e propria misoginia, che lo porta a dipingere il genere femminile in maniera a dir poco negativa, ad investirlo di una luce bieca e a puntare i suoi strali contro una indecente vanità e una sessualità malata, eccessiva, turpe. Innumerevoli sono gli epigrammi in cui le donne appaiono come l’espressione più eloquente del male, della perversione e della rovina.
Un’attenzione diversa egli riserva al tema dell’amicizia. Il piacere del banchetto insieme ad amici cari, la nostalgia per i compagni e la gioia per il loro ritorno, il pianto per la loro scomparsa sono gli argomenti di alcuni fra gli epigrammi meglio riusciti.
Il tema del vino compare in numerosi epigrammi, naturalmente, con diversa valenza. Marziale, a conferma del rapporto ispirazione poetica / vino, dichiara che nessuna ispirazione gli viene se non ha bevuto: possum nil ego sobrius; se beve invece, l’ispirazione è fecondissima. Presentando il suo libello più festoso e più aperto alla licenza dei Saturnali, lo raffigura fradicio di vino (XI 15, 5 vino madeat).
In un epigramma molto noto (X 47) il poeta elenca gli elementi che rendono la vita felice: un patrimonio ereditato, non sudato, animo tranquillo, lontano da tribunali e cerimonie, schiettezza del proprio carattere e degli amici, lungo sonno notturno, amore senza malinconie, ma non sfrenato. Fra questi elementi non mancano il convito e il vino: Una mensa senza raffinatezze, in compagnia cordiale; notti senza ubriachezza, ma libere da affanni.
Vino con misura: una misura, come osserva il La Penna, non diversa da quella che raccomanda qualche volta Orazio; di fatto però, in occasione di cene, nell’esortare a bere, Marziale non sembra preoccuparsi troppo della misura.
Fra i vini maggiormente celebrati ci sono l’immortale Falerno che gode di un primato assoluto, il Cècubo, il Setino; tutti e tre questi vini compaiono insieme una sola volta (XII, 17). Il Màssico viene contrapposto come vino di pregio a quello di Veio; considerato vino di classe, fa ottima lega con l’eccellente miele d’Attica (IV 13); se Falerno e Màssico non compaiono mai insieme, è perché Marziale fa del Màssico una specie eccellente del Falerno.
Ora è chiaro che i vini di pregio costano caro e Marziale non manca di attaccare quei padroni di casa che, se da un lato vogliono far bella figura con gli ospiti, dall’altro non mancano di mescolare il Falerno con vini di scadente qualità, come quello dei monti della Liguria o delle cantine fumose di Marsiglia (III 82). Anzi, si diverte a mettere alla berlina quei signori che riservano per sé i vini migliori, bevendo in coppe di colore scuro (per non essere scoperti) e facendo bere gli ospiti, al contrario, in coppe di vetro trasparente! Un’annotazione inoltre mi sembra importante: Marziale, sulla scia di Orazio, difende i vini italici e se ne fa intelligente divulgatore; non concede molto spazio ai vini greci, ad es. di Chio e di Lesbo, che da sempre avevano goduto di particolare attenzione nella società aristocratica di Roma antica. La poesia in questo senso (e nei limiti dettati dal buon senso e da una corretta analisi) ci fornisce utili indicazioni sulla situazione commerciale e ci fa capire che i vini greci di importazione, a causa dei costi, avevano subito un certo arresto, nel quadro della situazione economica più generale. Nell’ambito poi del simposio e dell’eros, non mancano in Marziale rappresentazioni licenziose di cortigiane che, in estrema libertà di gesti e di moti, allietano le serate e portano una nota di festevolezza. Si legga questo dedicato a Fìllide: E Fillide fu mia. Bellissima, stupenda con me, in tutti i modi, per una notte intera appassionatamente fu prodiga d’amore. All’alba già pensavo che cosa avrei potuto in dono farle avere.
Profumo da una libbra? O lane superiori di Betica in matasse? Oppure dieci bionde monete di conio del Cesare sovrano? Quand’ecco, all’improvviso, al collo mi s’avvinghia: a lungo sulla bocca m’imprime dolcemente un bacio che ricorda l’amplesso colombino. Infine lei mi chiede un’anfora di vino.
E in un altro epigramma la cortigiana Fìlene si fa emblema dello stretto rapporto tra vino ed eros: Che fa Filene a cena? Non giace nel triclinio se prima vino schietto - boccali sette almeno - non ha rivomitato. Può allora cominciare, a stomaco svuotato, a berne nuovamente e insieme a trangugiare pallette di carne - speciali per atleti - in sedici bocconi. Appena terminato un tal fardello, si dedica al piacere…
Ma, come sopra dicevo, Marziale si consente una tale libertà di accenti che non manca di scendere nella licenza più assoluta con suprema eleganza: si legga, fra i tanti, questo epigramma dedicato a Saufeia (III 72): Saufeia, tu vuoi che io ti scopi e tuttavia con me non ti lavi. Quale nefanda cosa mi nascondi? Hai forse le tette come stracci pendenti? I solchi del tuo ventre sono così evidenti? Oppure proprio in mezzo all’inguine sfondato troppo temi che si veda l’enorme tuo spaccato? O dalle grandi labbra sporge qualcosa fuori? Niente di tutto questo. Nuda tu sei bellissima. Ma un peggior difetto hai: sei stupidissima!.
A parziale discolpa nei confronti di chi lo attaccava senza remore, il poeta spagnolo, un classico del mondo latino, che non finisce di sorprendere e di conquistare sostiene che lasciva è la nostra pagina, ma la vita è onesta.
Valerio Marziale, vissuto tra il 40 ed il 103 d.C. , è da considerarsi senz’altro uno dei più illustri epigrammisti latini ed il più importante della prima età imperiale.
Nativo di Bilbilis, nella Spagna Tarragonese, dove ricevette una valida formazione retorica, venne presto a Roma in cerca di fortuna, seguendo le orme dei suoi connazionali che nella caput mundi si erano affermati grazie alle loro doti di ingegno e di cultura: Seneca, Lucano e Quintiliano. Sia detto infatti en passant che la letteratura latina del I secolo d.C. è caratterizzata dalla presenza significativa di autori di provenienza spagnola.
A Roma Valerio Marziale, invece di esercitare la professione forense, visse una vita da cliens, ottenendo cioè in cambio di servigi resi a personaggi di rango aristocratico, favori, appoggi e la famosa sportula, cioè il paniere per il sostentamento quotidiano. E non si pensi che a richiederla fossero soltanto gli ignoranti e gli sprovveduti; anzi, spesso si trattava di veri e propri intellettuali : avvocati senza cause, insegnanti senza alunni, artisti senza commissioni.
La vita da cliens, naturalmente, gli procurò non pochi fastidi e tristezze e lo costrinse a cambiare spesso padrone. Nello stesso tempo però gli consentì di avere un posto privilegiato dal quale osservare lo scorrere della vita con i suoi vizi e le sue virtù, i tradimenti e le fedeltà, le inimicizie e le alleanze… Nel 80 d.C. in occasione della inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio, più noto con il nome di Colosseo, compose il primo libro di epigrammi, cioè il Liber de spectaculis (cioè gli spettacoli del Colosseo) che gli procurò fama e successo, al punto che l’imperatore Tito gli concesse lo ius trium liberorum (“il diritto dei tre figli”), vale a dire la concessione di benefici riservati a coloro che avevano tre figli, anche se pare che Valerio non fosse nemmeno sposato. Potenza degli imperatori! Il successore di Tito, Domiziano, gli rinnovò tale diritto.
Verso l’84/85 compose due libri di epigrammi, gli Xenia (“doni per gli ospiti”) e gli Apophoreta (“doni da portar via” alla fine dei banchetti) che consolidarono la fama di Marziale. Dopo l’assassinio di Domiziano nel 96 d.C., con cui si chiudeva il ciclo degli imperatori flavii, e l’avvento di Nerva e Traiano, la situazione politico-culturale cambiò non poco a Roma, per cui si instaurò un clima di austerità morale. Marziale tentò di accattivarsi le simpatie dei nuovi imperatori, ma i suoi epigrammi (come si vedrà subito dopo) mal si conciliavano con il nuovo orientamento del potere, per cui nel 98 fece ritorno nella sua patria, Bilbilis.
Qui compose gli altri otto libri degli epigrammi che compongono la sua produzione. A Bilbilis una ricca vedova di nome Marcella, presa da ammirazione per la fama e la poesia di Marziale, gli addolcì gli ultimi anni della vita, facendogli dono di una casa e di un podere e consentendogli di vivere una vita serena e senza affanni. Morì a 63 anni lasciando ai posteri una produzione epigrammatica di sicuro valore e di altrettanto fervida licenziosità.
L’epigramma, come si sa, è di per sé un genere realistico, che mira a rappresentare la realtà nelle sue mille sfaccettature, ha la caratteristica di essere breve ed incisivo, capace di trasmetterci con immediatezza il punto di vista dell’autore sulla vita sociale e politica, sui costumi e le mode, sui personaggi più in vista e di tutti i giorni, sulla condotta delle donne, sugli usi ed abusi sessuali…
Valerio Marziale è in questo un maestro, un abilissimo scrittore e un osservatore attento e appassionato, avendo infatti l’abilità di concentrare in pochi versi la sua ‘visione della vita’, di tracciare un ritratto, di rappresentare scene di vita quotidiana, insomma di smascherare una società spesso conformista e solo in apparenza rispettosa di regole e di principi. Allora i suoi bersagli preferiti sono i falsi moralisti, che predicano bene e razzolano male, gli affaristi impenitenti, i maestri parrucconi, i giudici corrotti, i politici arrampicatori, gli amici del buon tempo ed avari, le donne lascive e insaziabili…
Marziale non si nasconde mai nei suoi epigrammi, anzi al contrario è sempre presente in prima persona, scoprendo la sua personalità ed assumendosi la responsabilità delle sue dichiarazioni.
L’aspetto prevalente è perciò di carattere comico-satirico, che trova la sua esaltazione nella battuta finale che chiude il componimento, quello che gli esperti della materia chiamano fulmen in clausula, vale a dire la stoccata finale. Tale tecnica è lo strumento privilegiato della sua poesia : il senso stesso e lo spirito del componimento vanno ricercati proprio nel finale dell’epigramma che, come dice Mario Citroni, uno dei più acuti interpreti di Marziale, “a volte riassume i termini di una situazione in una formulazione estremamente incisiva e pregnante, a volte li porta ad una comica ipèrbole, altre volte li costringe ad un esito assurdo e ad un paradosso, altre volte li porta all’improvviso sotto una luce diversa e rivelatrice”.
Non si pensi però che Valerio Marziale sia soltanto uno scrittore comico, satirico, propenso alla licenziosità e all’erotismo. Egli è capace anche di esprimere sentimenti di malinconia e sconforto per la sua vita da cliens o di delicatezza estrema per la scomparsa ad es. di una bambina, Erotion, morta alla tenera età di sei anni: …Ricopra una zolla non dura le sue tenere ossa: tu, terra, non essere pesante su di lei: essa su di te pesò sì poco.
Fra i temi più sviluppati ci sono le donne (più che l’amore), l’amicizia, il simposio.
Nei confronti delle donne, è stato osservato, c’è una sorta di vera e propria misoginia, che lo porta a dipingere il genere femminile in maniera a dir poco negativa, ad investirlo di una luce bieca e a puntare i suoi strali contro una indecente vanità e una sessualità malata, eccessiva, turpe. Innumerevoli sono gli epigrammi in cui le donne appaiono come l’espressione più eloquente del male, della perversione e della rovina.
Un’attenzione diversa egli riserva al tema dell’amicizia. Il piacere del banchetto insieme ad amici cari, la nostalgia per i compagni e la gioia per il loro ritorno, il pianto per la loro scomparsa sono gli argomenti di alcuni fra gli epigrammi meglio riusciti.
Il tema del vino compare in numerosi epigrammi, naturalmente, con diversa valenza. Marziale, a conferma del rapporto ispirazione poetica / vino, dichiara che nessuna ispirazione gli viene se non ha bevuto: possum nil ego sobrius; se beve invece, l’ispirazione è fecondissima. Presentando il suo libello più festoso e più aperto alla licenza dei Saturnali, lo raffigura fradicio di vino (XI 15, 5 vino madeat).
In un epigramma molto noto (X 47) il poeta elenca gli elementi che rendono la vita felice: un patrimonio ereditato, non sudato, animo tranquillo, lontano da tribunali e cerimonie, schiettezza del proprio carattere e degli amici, lungo sonno notturno, amore senza malinconie, ma non sfrenato. Fra questi elementi non mancano il convito e il vino: Una mensa senza raffinatezze, in compagnia cordiale; notti senza ubriachezza, ma libere da affanni.
Vino con misura: una misura, come osserva il La Penna, non diversa da quella che raccomanda qualche volta Orazio; di fatto però, in occasione di cene, nell’esortare a bere, Marziale non sembra preoccuparsi troppo della misura.
Fra i vini maggiormente celebrati ci sono l’immortale Falerno che gode di un primato assoluto, il Cècubo, il Setino; tutti e tre questi vini compaiono insieme una sola volta (XII, 17). Il Màssico viene contrapposto come vino di pregio a quello di Veio; considerato vino di classe, fa ottima lega con l’eccellente miele d’Attica (IV 13); se Falerno e Màssico non compaiono mai insieme, è perché Marziale fa del Màssico una specie eccellente del Falerno.
Ora è chiaro che i vini di pregio costano caro e Marziale non manca di attaccare quei padroni di casa che, se da un lato vogliono far bella figura con gli ospiti, dall’altro non mancano di mescolare il Falerno con vini di scadente qualità, come quello dei monti della Liguria o delle cantine fumose di Marsiglia (III 82). Anzi, si diverte a mettere alla berlina quei signori che riservano per sé i vini migliori, bevendo in coppe di colore scuro (per non essere scoperti) e facendo bere gli ospiti, al contrario, in coppe di vetro trasparente! Un’annotazione inoltre mi sembra importante: Marziale, sulla scia di Orazio, difende i vini italici e se ne fa intelligente divulgatore; non concede molto spazio ai vini greci, ad es. di Chio e di Lesbo, che da sempre avevano goduto di particolare attenzione nella società aristocratica di Roma antica. La poesia in questo senso (e nei limiti dettati dal buon senso e da una corretta analisi) ci fornisce utili indicazioni sulla situazione commerciale e ci fa capire che i vini greci di importazione, a causa dei costi, avevano subito un certo arresto, nel quadro della situazione economica più generale. Nell’ambito poi del simposio e dell’eros, non mancano in Marziale rappresentazioni licenziose di cortigiane che, in estrema libertà di gesti e di moti, allietano le serate e portano una nota di festevolezza. Si legga questo dedicato a Fìllide: E Fillide fu mia. Bellissima, stupenda con me, in tutti i modi, per una notte intera appassionatamente fu prodiga d’amore. All’alba già pensavo che cosa avrei potuto in dono farle avere.
Profumo da una libbra? O lane superiori di Betica in matasse? Oppure dieci bionde monete di conio del Cesare sovrano? Quand’ecco, all’improvviso, al collo mi s’avvinghia: a lungo sulla bocca m’imprime dolcemente un bacio che ricorda l’amplesso colombino. Infine lei mi chiede un’anfora di vino.
E in un altro epigramma la cortigiana Fìlene si fa emblema dello stretto rapporto tra vino ed eros: Che fa Filene a cena? Non giace nel triclinio se prima vino schietto - boccali sette almeno - non ha rivomitato. Può allora cominciare, a stomaco svuotato, a berne nuovamente e insieme a trangugiare pallette di carne - speciali per atleti - in sedici bocconi. Appena terminato un tal fardello, si dedica al piacere…
Ma, come sopra dicevo, Marziale si consente una tale libertà di accenti che non manca di scendere nella licenza più assoluta con suprema eleganza: si legga, fra i tanti, questo epigramma dedicato a Saufeia (III 72): Saufeia, tu vuoi che io ti scopi e tuttavia con me non ti lavi. Quale nefanda cosa mi nascondi? Hai forse le tette come stracci pendenti? I solchi del tuo ventre sono così evidenti? Oppure proprio in mezzo all’inguine sfondato troppo temi che si veda l’enorme tuo spaccato? O dalle grandi labbra sporge qualcosa fuori? Niente di tutto questo. Nuda tu sei bellissima. Ma un peggior difetto hai: sei stupidissima!.
A parziale discolpa nei confronti di chi lo attaccava senza remore, il poeta spagnolo, un classico del mondo latino, che non finisce di sorprendere e di conquistare sostiene che lasciva è la nostra pagina, ma la vita è onesta.
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