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Alceo di Mitilene, tra impegno politico e letteratura

01/03/2006
Alceo di Mitilene è senza dubbio da annoverare tra i grandi letterati e poeti della Grecia dell’età arcaica. Dopo il trionfo dell’epos ad opera di Omero ed Esiodo, i nobili progenitori della letteratura greca, segue il periodo della lirica, cioè della produzione poetica che, oltre alla brevità, si affida alla manifestazione di sentimenti personali (lirica monodica) o corali (lirica corale). Di questo primo genere  di lirica Alceo è esponente di primo piano.
Egli visse a Mitilene, capitale se così possiamo dire dell’isola di Lesbo (una delle più  importanti del mar Egeo), nota peraltro per aver dato i natali a Saffo, celebre poetessa dell’amore, tra il VII-VI secolo a.C. in un periodo caratterizzato da intense lotte e tensioni interne. Infatti le fazioni aristocratiche (di cui Alceo era illustre esponente) si contendevano la conquista del potere e, come ai tempi dei guelfi e ghibellini in età comunale, le città greche e la stessa Mitilene erano percorse da odi e rivalità interne, che portavano alla rovina, all’esilio e alla confisca dei beni degli avversari politici. Spesso, a conclusione di tali lotte, il potere veniva assunto da un ‘tiranno’, nominato dal popolo, che non va considerato, come nei tempi moderni, un potere dispotico e brutale: infatti, in più di qualche caso, il tiranno fu una figura moderata e rispettosa delle regole, capace di riportare l’ordine e la legalità. Poi, con il tempo, subì un’evoluzione negativa, in quanto il mantenimento del potere obbligava ad abusi, forzature ed illegalità.

Comunque sia, Alceo nutrì sempre una profonda avversione per ogni tipo di tirannide, fosse essa moderata o violenta. Alla lotta contro il tiranno Melancro, abbattuto nel 612, presero parte i fratelli di Alceo, ma il poeta partecipò con i fratelli alla lotta contro Mirsilo, successore di Melancro. Il primo tentativo di uccidere Mirsilo fallì, e Alceo con i compagni dovette fuggire a Pirra, città dell’isola di Lesbo. Lì congiurarono, preparando il ritorno in patria; e il secondo tentativo contro Mirsilo riuscì : il tiranno infatti fu ucciso in combattimento. Allora il poeta esule gettò un grido selvaggio di trionfo : “Ora bisogna ubriacarsi, ora bisogna che ognuno beva a forza, poiché è morto Mirsilo”: tale esordio fu poi ripreso, in età romana, dal poeta Orazio per celebrare la morte di Cleopatra dopo la battaglia di Azio.
 Ma con la morte del tiranno non ebbero fine i disordini e il popolo, per porvi rimedio, nominò Pittaco  con una carica simile a quella del dittatore romano. Pittaco, che in un primo tempo aveva lottato con i fratelli di Alceo contro Melancro, si era poi accordato con Mirsilo e fu perciò considerato un traditore da Alceo e dai suoi. Gli aristocratici più violenti, avversi alla nuova dittatura, furono mandati in esilio : Antimenide andò soldato di ventura nel regno di Babilonia presso il re Nabucodonosor (citato anche dalla Bibbia) e Alceo in Egitto dove probabilmente fu soldato mercenario come il fratello.
Pittaco tenne il potere per dieci anni e durante questo periodo governò in maniera così moderata ed assennata che fu considerato tra i sette saggi della Grecia, pacificò la città e fece tornare gli esuli , tra i quali lo stesso Alceo. Insieme con Pittaco Alceo combatté poi contro gli Ateniesi per il possesso del Sigeo, promontorio della Troade, dove gli Ateniesi avevano voluto fondare una colonia. In un combattimento i Mitilinesi furono sconfitti e Alceo fu costretto a gettare lo scudo : un’azione di cui provò sempre un’immensa vergogna, a differenza del poeta Archiloco che, in altro contesto e con altra filosofia della vita, non se la prese più di tanto e si ripromise di procurarsi uno scudo ‘non peggiore’ del primo.
Il poeta, si racconta, trascorse il resto della vita in patria raggiungendo la vecchiaia e chiedendo ai banchetti e agli amori le ultime consolazioni ad una vita tumultuosa.

Tutta la vita di Alceo si svolse tra i due poli dell’impegno politico, sia pure di un ‘partigiano’ orgoglioso e fiero ma pensoso dei destini della piccola patria, e di quello letterario, che si dipana tra rispetto della tradizione e volontà di innovazione.
La produzione letteraria, alla quale è consegnato il suo nome, comprende infatti componimenti politici, cioè i “canti della lotta civile”, ed erotici; ma, come dice giustamente il Perrotta, la poesia di Alceo nasce tutta dal simposio (termine che dal greco vuol dire “bere insieme” e di qui si allarga poi all’idea del banchetto), anche la poesia politica.
Le poesie politiche erano spesso ispirate da un odio ardente contro i nemici e contro tutti i tiranni, verso i quali pronunciò parole di fuoco, maledicendoli solennemente e augurando loro di non vedere mai più la luce del sole.
Ma bisogna aggiungere che la giocondità e piacevolezza del simposio non sempre sono turbate dai fantasmi guerrieri e dall’acredine politica. Talvolta il poeta invita se stesso e gli amici a godere, a dimenticare l’odio e gli affanni nel vino: “Beviamo. Perché attendiamo i lumi? Solo un attimo è il giorno. Prendi, mio caro, le coppe grandi, dipinte; il vino che fa dimenticare gli affanni lo donò ai mortali il figlio di Semele e di Zeus. Versa, mescola uno e due calici, pieni sino all’orlo. Una coppa spinga giù l’altra”.
Il cuore del poeta è triste : egli beve per dimenticare, e si getta alla caccia del piacere con lo stesso impeto con cui combatteva la guerra civile.
Molti poeti hanno cantato il vino, nessuno con più insistenza ed ardore di Alceo. Il vino è per Alceo un vero motivo poetico, che egli sa cantare con toni diversi: ai toni più caldi ed accesi si alternano quelli più intimi e delicati.
“Piove e dal cielo grande tempesta scende e sono gelate le correnti dei fiumi…scaccia il freddo ammucchiando gran fuoco e mescendo senza risparmio vino dolce, le tempie tutt’intorno cingendo di soffice lana”. Così recita un altro carme (che sarà ripreso dal poeta latino Orazio, che si sente erede spirituale di Alceo) dove, ormai lontani gli echi della lotta e delle divisioni, si respira l’intimità del focolare e il caldo ristoro del vino.
Un’ultima annotazione: la forza e la bellezza della poesia alcaica derivano non solo dalla personalità del poeta, dal suo forte sentire, ma anche dalla levità straordinaria delle immagini e dal profondo valore musicale del verso.
Mi perviene, fresco di stampa, un bel volumetto di traduzioni poetiche di Alceo, liriche e frammenti, per i tipi di Lisi editore, curato da Michele Coco, già noto per precedenti valide traduzioni dedicate a Saffo, Mimnermo, Anacreonte e ai poeti alessandrini.
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